martedì 6 ottobre 2009

Una prospettiva ancora valida

Molti sostengono che siamo fuori dalla storia, che non riusciamo a leggere i mutamenti sociali, che non riusciamo a dotarci di strumenti nuovi di analisi e di attrezzature moderne per favorire la partecipazione dei cittadini alla politica. Probabilmente è vero, però l’evoluzione della politica degli ultimi anni dimostra che l’imbroglio ideologico della sbornia liberista non ha prodotto niente di buono e quindi che la prospettiva comunista è sempre valida. Non a caso la sconfitta della sinistra e delle forze di ispirazione socialista inizia proprio con la messa in mora del loro stesso profilo storico-culturale e con la sostituzione della cultura collettivista con quella dell’individuo socialmente impegnato ed economicamente libero. La necessità di mettere gli anticapitalisti a governare il capitalismo, perché ritenuto, con l’avvallo delle esperienze drammatiche dei paesi dell’Est, l’unico sistema possibile, oltre ad essere una contraddizione genetica è risultato un fallimento totale. Come si fa a nascondere a se stessi che non è possibile passare dalla parte di chi per anni era stato oggetto di critiche, di opposizione sociale e politica. La storia italiana aveva distinto i comunisti per le battaglie sui diritti (aborto, divorzio), per la dignità e la qualità del lavoro, per la prevenzione e per la sicurezza sociale. Come è stato possibile annullare questo patrimonio? Il dramma della presunzione “scellerata” dei diregenti dell’ultimo PCI è stato quello che importanti conquiste come la scala mobile, lo statuto dei lavoratori, la prevenzione, la riforma della sanità, i decreti delegati nella scuola pubblica, l’accesso all’Università per tutti e non solo per i figli di papà, sono state distrutte proprio da quegli eredi del PCI e del PSI che negli anni ’90, in nome della necessità di governare il paese e della ricerca della stabilità per decreto, li allontanò definitivamente dalle loro stesse classi di riferimento. La Sinistra con Craxi prima e con il Riformismo liberal poi, alleandosi con le banche ed i poteri finanziari, avviò la definitiva demolizione del Sindacato, della scuola pubblica, dei servizi pubblici (ENEL, SIP, POSTE, FERROVIE, ACQUA). I governi “cosiddetti” di Centro-Sinistra, insieme ai riferimenti storico-culturali abbandonarono perfino la lotta per il posto di lavoro sicuro, introducendo la “flessibilità” del lavoro, copiando, anche un po’ maldestramente la destra europea. Fu il primo governo Prodi, con l’appoggio esterno di Rifondazione Comunista, ad approvare il pacchetto Treu che introduceva il precariato per legge, per non parlare della direttiva Bolkstein diventata legge europea, grazie al voto della sinistra. I governi di Centro-Sinistra, e soprattutto l’omologazione della sinistra italiana al pensiero unico degli anni 90 “meno stato = più ricchezza” hanno spostato l’attenzione dal conflitto fra capitale e lavoro al conflitto fra profitto e speculazione finanziaria, fra economia e finanza. Quindi più liberismo e più mercato, più flessibilità sul lavoro e più lavoro. E come dire: siccome il pane non basta per tutti diamo una briciola ad ognuno così si risolve il problema. In reltà si aumenta l’agonia, ma non si impedisce la morte per fame. Rifondazione Comunista, dopo l’entusiasmo iniziale della ricostruzione di un’idea ancora possibile ha dato vita alla danza delle scissioni. In ogni elezione ha perso dei pezzi. Una volta in nome di un ministero, un’altra volta in nome di una Presidenza di una camera o di una Regione, un’altra volta in nome di un movimento locale o globale che fosse, la volta dopo per un assessorato o per un’idea “altra” di salita arcobalena. Alla fine si è frantumata fino al punto di non essere più in Parlamento. Lo spostamento a destra dell’evoluzione (sic) della sinistra ha finito con il dare una grossa mano alla legittimazione della destra più razzista e liberista d’Europa fino al punto di far rimpiangere la vecchia DC ed a quello di garantire al Governo Berlusconi il più alto grado di consenso che un governo ha mai avuto in Italia, dopo Mussolini. Con il magnifico risultato di ottenere quello che alla DC non fu mai permesso e cioè “la riduzione del potere d’acquisto dei salari”, il dilagare del lavoro precario, il tenere i giovani fuori dal contesto del lavoro, nonostante il lavoro nero dilaga, i doppi e tripli incarichi (soprattutto nel pubblico) abbondano, i pensionati che continuano a lavorare, gli stipendi e le pensioni d’oro che tengono ben salda ed anzi fortificano la barriera fra chi può e chi non può e la distanza fra ricchi e poveri. Lo stato e gli Enti locali, sempre più intrecciati dalle varie riforme (Bassanini), dai patti di stabilità e dai vincoli della debolezza della politica, non riescono a far partire nessuna ristrutturazione ecologista dell’edilizia italiana tantomeno l’adeguamento alle normative di sicurezza delle strutture pubbliche. Addirittura in Italia si riparla di energia nucleare riportando le lancette del tempo a 40 anni fa. Insomma il liberismo degli anni 90 ci ha lasciato uno Stato incapace ed una politica senza idee e la curiosa constatazione che, quando perfino il Presidente dello Stato più maccartista del mondo (USA) diventa un po’ comunista, noi, in Italia, dove abbiamo rappresentato una esperienza unica di socialismo e democrazia, siamo costretti a nasconderci per paura che Berlusconi continui a chiamarci “comunisti”. E’ veramente paradossale. Questo straordinario paradosso, fa parte del bagaglio e dell’attrezzatura con il quale affronteremo l’esperienza del Consiglio Provinciale. L’obiettivo è quello della costruzione di un senso collettivo dell’istituzione, di un senso partecipato del recupero dell’interesse generale alla guida della politica istituzionale, dopo l’evaporazione della sbornia liberista. Sarà difficile, i numeri sono insufficienti, la Provincia ha poche competenze dirette. Siamo consapevoli di questo, ma siamo ancora carichi dell’orgoglio di tenere alti i nostri simboli e siamo tutt’ora convinti che l’uguaglianza e la libertà sono valori per i quali si possa e si debba ancora lottare. Con queste convinzioni ci siamo presentati alle elezioni e ci confronteremo con le altre forze politiche all’interno del consiglio provinciale, per: combattere il precariato; inserire norme che tutelano la sicurezza sul lavoro partendo da misure severe sui capitolati di appalto; la lotta contro la privatizzazione dei servizi; una gestione dei rifiuti che abbia l’obiettivo di “Rifiuti zero”; la tutela e la valorizzazione delle risorse idriche, degli acquiferi; il monitoraggio continuo dei siti inquinanti; incrementare il trasporto pubblico locale e la nostra ferrovia, contro ogni forma di potenziamento dell’Aeroporto di Ampugnano; ridare dignità alle qualità terapeutiche delle risorse termali; una reale e attiva partecipazione dei cittadini alle scelte istituzionali.

2 commenti:

  1. L'analisi è puntuale ma al tempo stesso disperante, giustamente... La situazione che si prospetta sotto gli occhi di tutti esige il ritorno a un tipo di poltica seria e impegnata e soprattutto partecipata; non nella spettacolizzazione delle vicende e dei personaggi che assomigliano più a partecipanti di reality show...

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  2. Mi sembra che si faccia tanta retorica e non si riescono ad inquadrare le azioni per rialzare la testa secondo i modelli attuali

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